Dopo la scoperta del Nuovo Mondo, il processo di colonizzazione di Cuba da parte degli spagnoli produce variazioni drastiche e definitive nella composizione etnica del paese. In un lasso di tempo inferiore ai cinquant’anni scompare praticamente quasi tutta la popolazione autoctona della”isola e ha inizio, così, il processo di colonizzazione da parte fondamentalmente di gruppi provenienti dalle diverse regioni dello Spagna: nei primi due secoli furono soprattutto andalusi, castigliani, navarri baschi e abitanti delle Canarie, mentre nei secoli XVIII e XIX arrivarono nell’isola asturiani, catalani e galiziani. È importante inoltre ricordare il carattere multietnico del popolo spagnolo reduce dalle dominazioni romana, visigota e soprattutto araba che si susseguirono dal 218 a.C. al 1479, anno in cui il matrimonio tra la regina Isabella di Castiglia con Fernando d’Aragona segna l’inizio della riunificazione politica del paese e il consolidamento dell’unità nazionale. A Cuba, che rimase colonia spagnola per quattrocento anni fino alla guerra d’indipendenza (1868-1898), come abbiamo già detto, arrivarono spagnoli di varie regioni e di varie classi sociali che popolarono il paese diffondendo elementi politici, religiosi, linguistici e canoni estetici tipici della cultura spagnola. Anche se la maggiore immigrazione proveniva dalla penisola iberica, molta importanza ebbe l’immigrazione della popolazione proveniente dalle Isole Canarie, caratterizzata dal fatto di essere composta da nuclei familiari, che trapiantarono nelle comunità rurali cubane i loro costumi e sistema di vita. La religione cattolica, introdotta dagli spagnoli, porta con se anche la musica vincolata al culto: fatto questo che contribuirà alla formazione accademica dei musicisti a Cuba, che sarà però svincolata dal contesto religioso. La cultura musicale popolare ispanica portò nell’isola strumenti a corda pizzicata e forme letterarie come la decina e la quartina, che sarà molto importante poi nello sviluppo della musica cubana la cui esistenza ebbe inizio alla fine del 1700.
Le origini africane La scomparsa delle popolazioni indie nei primi decenni della conquista e della colonizzazione portò gli spagnoli ad inserire nell’isola come nuova forza lavoro gli schiavi africani. All’interno dei gruppi etnici africani che popolarono il territorio cubano, le etnie Yoruba e quella dell’area linguistica denominata Bantù ebbero la maggiore diffusione. La religione e le credenze portate da queste popolazioni africane arricchirono il bagaglio artistico di tutta la regione. Ancora adesso troviamo con frequenza forme di canti, ritmi, balli e persino l’utilizzazione degli stessi strumenti musicali, nella stessa forma di quando arrivarono dal continente africano centinaia di anni fa. La musica di origine Yoruba, in linea generale, si trova maggiormente conservata nella regione occidentale di Cuba, fondamentalmente nelle città dell’Avana e Matanzas. Uno dei fattori fondamentali di questa conservazione è dovuto alla possibilità di perpetrare le tradizioni originarie durante la schiavitù, concessa dai dominatori spagnoli. Tale processo fece sì che schiavi e neri liberati, appartenenti ad una stessa nazione o etnia, potessero raggrupparsi in confraternite che avevano la forma di società di soccorso: los cabildos. In alcune città cubane queste confraternite ebbero la possibilità di realizzare preghiere collettive, feste religiose ed altre attività che permisero d’incorporare la musica portata dalla terra di origine. Un esempio significativo è il festeggiamento dell’Epifania di Cristo, celebrato il 6 gennaio con sfilate e processioni. In questo giorno i membri de los Cabildos uscivano per strada travestendosi con maschere, per ballare e suonare, sfilando con stendardi e bandiere. Le immagini delle loro divinità africane venivano mascherate sotto le sembianze dei santi cristiani.
In pieno sec. XVI il commercio degli schiavi destinati alla mano d’opera agraria portò più di 50.000 africani al lavoro indiscriminato nei campi, patrimonio privato dei colonizzatori. Il ldesiderio di libertà fece accrescere la passione alla preghiera in funzione della speranza in un futuro di liberazione dalla schiavitù. Gli africani facevano affidamento nelle pratiche religiose, mettendo in mano agli Dei e nella fede tutte le speranze di salvezza. La Santeria come rito religioso nasce dal “mascheramento” delle divinità animiste africane, gli Orichas, nelle sembianze apparenti di un santo cattolico.
Dio onnipotente, Olofi, viveva in uno spazio infinito, fatto solo di fuoco, fiamme e vapore densissimi. Ma venne il giorno in cui si annoiò della solitudine. Liberò la sua potenza e fece scendere acqua a torrenti. Alcuni elementi solidi si opposero al suo attacco e così si formarono enormi voragini nella roccia: l’oceano vasto e misterioso dove risiede Olokun. Nei punti più accessibili prese dimora Yemayà, che fu dichiarata madre universale, madre degli Orichas. Dal suo ventre uscirono la luna e le stelle. 0lordumore, Obatalà, Olofi e Yemayà decisero che il fuoco, ancora forte in alcune zone, fosse completamente assorbito dalle viscere della terra, attraverso il temuto e venerato Aggayù Sola, rappresentato dal vulcano e dai misteri delle profondità. Le ceneri si sparsero ovunque, formando la terra, rappresentata da Orichàoko, che le diede la forza da permettere la nascita degli alberi, dei frutti e delle erbe. Nei boschi si aggirava Osaìn con la sua antica conoscenza delle facoltà mediche delle essenze e delle erbe. Nacquero le paludi e dalle acque stagnanti si originarono le epidemie, personificate da Babalù Ayé. Yemayà, la madre di tutto e di tutti, decise di dare delle vene alla terra e creò i fiumi di acqua dolce e potabile, perché Olofi potesse creare gli esseri umani. Fu così che nacque Ochun. Olofi decise di ritirarsi e di vivere lontano, dietro il sole, e lasciò come suo rappresentante ed esecutore dei suoi ordini Obatalà, il quale creò gli esseri umani.
Olokun è il mistero degli oceani. E un’entità talmente immensa e profonda che la mente umana non riesce a concepirla e a farne una rappresentazione: infatti è l’ unico Oricha di cui non si facciano rappresentazioni materiali. Olokun, insieme a Yemayà, è il principio vitale per eccellenza ma i suoi poteri possono diventare anche distruttivi e incontenibili.
È la divinità della sapienza e della divinazione, unico a cui 0lofi (Dio) permise di essere testimone della creazione dell’universo, ora continua ad essere testimone del percorso dei destini degli esseri umani. I suoi colori sono il verde e il giallo. I suoi sacerdoti sono i babalawos che attraverso la Tavola di Ifà svelano i segreti dell’universo e delle singole esistenze.
Obatalà e il padre benevolo di tutti gli Orichas e dell’umanità. 0lofi creò l’universo ma diede a Obatalà il compito di organizzare il mondo e di creare l’umanità. È la fonte primaria della purezza e della saggezza. Il suo colore è il bianco, ma può essere rosso, marrone o altri colori che rappresentano i suoi diversi cammini . Può essere uomo o donna. Appare come giovane e coraggioso guerriero o come vecchio accasciato o vecchia incurvita e freddolosa. Lavora con un lurike bianco (coda di cavallo). Si sincretizza con Nostra Signora della Mercede e la sua festa è il 24 settembre.
E colui che apre e chiude il cammino e possiede la chiave della felicità e dell’infelicità. Rappresenta la vita e la morte, l’inizio e la fine, il giorno e la notte; in un certo senso si situa a metà strada tra esseri umani e gli esseri divini. Viene personificato in un bambino, messaggero capriccioso, ma anche ingenuo tra i due mondi. Il suo strumento è il Garavato, realizzato in legno di guayaba, utilizzato per chiudere e per aprire il passaggio. E un giocherellone e gli piace fare tutto quello che fa un bambino; porta una borsa piena di golosità. E’ un pettegolo e nella danza rappresenta tutte queste caratteristiche in modo leggero e veloce. Senza di lui non è possibile realizzare niente, per ogni cosa è necessario i suo permesso. Lui apre e chiude le danze rituali ed è soprattutto il messaggero di Olofi. Si sincretizza con Sant’Antonio da Padova. La sua festa è il i 3
giugno, i suoi colori sono il nero e rosso, ma possono anche essere il bianco e nero o bianco e rosso.
Questo è il santo padrone dei metalli, è rappresentato come uomo corpulento dal carattere aspro e diffidente. Quando balla agita le braccia come se recidesse i rami del monte con il machete, la sua arma principale. Gli piace l’aguardiente e il tabacco, si veste con rami l’albero, come ad esempio la palma. I suoi colori sono il verde, lilla e nero ed è il secondo santo nella Regia de Ocha. E’ il Dio della guerra e del lavoro, il creatore di tutti gli strumenti di lavoro, come il martello, coltello, sega, ecc. Si sincretizza con San Pietro.
Padrone di tutte le persone che hanno problemi con la giustizia, egli è guerriero, cacciatore e pescatore. I suoi colori sono l’azzurro, il giallo oro e il rosso. Abita sul monte ed i suoi strumenti sono l’arco e la freccia, con cui è infallibile nella mira. Nella danza rappresenta la caccia e abita con suo fratello Oggun. Si sincretizza con San Norberto e San Pietro.
Generalmente è la madre della vita e padrona dell’acqua salata dei mari. Il suo colore è l’azzurro in tutte le sue tonalità ed il bianco. E’ considerata una donna estremamente saggia, che può lavorare indovinando con il Tamblero de Orula con grande abilità. Usa il machete e viene rappresentata come una donna alta con una personalità materna con occhi grandi e belli. E’ sempre sorridente e si muove con portamento regale. Nella danza si esprime girando, agitando la gonna, come il mare in tutte le sue forme. Si sincretizza con la Vergine de la Regla. Patrona dei marinai e del porto de l’Habana. La sua festa è il 7 settembre
Re dei re, è considerato Dio del fuoco, dei fulmini, dei tuoni, del ballo e della virilità; padrone dei tamburi Batà. Teme i morti, è bugiardo e narciso. I suoi colori sono il rosso ed il bianco. E’ rappresentato come un uomo vanitoso e orgoglioso della sua virilità. La sua arma è l’ascia con doppia lama e la spada. Quando danza finge di prendere il tuono e metterlo o terra o ai suoi genitali. Rotola some una palla di fuoco. E’ estremamente sensuale, giocherellone e per le donne irresistibile. Goloso di banane e quimbombo, ama pure i piaceri del palato. Si sincretizza in Santa Barbara.
Padrona della sensualità, del fiume e del miele, le piace fare la civetta. Bella tra le belle, è la donna di Changò e la sua caratteristica è l ‘erotismo. E’ capace di ammansire le fiere feroci e nemmeno lo scorpione riesce a pungerla. Un giorno viene trovata da Yemayà da cui è protetta, riempita di ricchezze; le viene regalato il fiume. I suoi colori sono il giallo oro ed il verde. Viene rappresentata come una mulatta bellissima che ride sempre mostrando le sue braccia adorne di bracciali. Il suo attributo è l’abebbe (ventaglio), fatto di piume di pavone. Si sincretizza con la Signora della Caridad. La sua festa è l’8 settembre.
Sorella di Yemayà e Ochun, è padrona del fulmine, del temporale e della porta del cimitero, in quanto dea della Morte. E’ caratterizzata da atteggiamenti mascolini. Guerriera instancabile, il suo carattere è forte e deciso. Il suo colore è il rosso vivo ed ama i tessuti stampati con fiori colorati. Nei suoi momenti di tranquillità può essere molto femminile ed appassionata, ma può divenire violentissima. Il suo strumento è l’iruke, o mulinello. Si sincretizza con la Virgen del Carmen e santa Teresa D’Avila.
E’ uno degli Orichas più invocati dai fedeli della Santeria, ma anche dai cattolici cubani. E’ il dio delle infermità, delle epidemie e delle malattie della pelle. E’ il padre del mondo e viene considerato santo miracoloso. Le manifestazioni di devozione a Babalù Ayé sono moltissime e prendono la forma di veri e propri voti: si vedono persone che percorrono il sentiero verso il suo santuario in ginocchio, vestite di stracci bianchi, che elargiscono elemosine ai tanti mendicanti. La sua festa cade il 17 dicembre ed il suo giorno è il venerdì per alcuni e per altri il mercoledì. Si sincretizza con San Lazzaro.
E’ il medico degli Orichas. Il suo stesso spirito alberga nelle sostanze curative e Osain vive in ogni angola in cui vi siano elementi naturali, in un piccolo vaso come in un grande bosco. Praticamente in ogni cerimonia della regla sono presenti piante e rami e Osain è colui al quale si deve chiedere il permesso prima di addentrarsi nei boschi e raccoglierne un qualunque elemento.
Fra i vari generi musicali provenienti dalla cultura africana, molto importante è la rumba, che negli ultimi anni ha superato con gran forza la sfera sociale di origine per integrarsi, a volte mescolata con il son, con la musica ballabile ed estendersi quindi in tutta l’isola di Cuba in questa forma. Nel 1886 si dichiarò definitivamente conclusa la tratta degli schiavi; questo fatto di grande sconvolgimento sociale alleviò la vita di più di un quarto di milione di persone che ottennero la condizione di uomini liberi nella società cubana. La libertà, però, creò nuovi problemi a queste persone che non potevano più rimanere nei campi degli ex proprietari di terra e non avevano sufficienti risorse economiche per poter trovare casa nei paesi e nelle città che, senza dubbio, offrivano maggiori opportunità di lavoro. Gli ex schiavi costruirono le case, arrangiandosi con i materiali che trovavano, nelle zone periferiche e nei quartieri marginali già esistenti prima dell’abolizione della schiavitù, apportando cosi un sostanziale incremento alla popolazione di questi luoghi. E in questo contesto che apparve un tipo di festa collettiva e profana che s’identifico con il nome Rumba. Questa si convertì nel sinonimo cubano di festa, come rumbear descrive anche l’attività di ballare, di festeggiare e di divertirsi dei cubani. L’ambiente iniziale della rumba fu quello dei cortili, degli isolati e dei punti abituali di riunione nei quartieri suburbani. Gli strumenti originali furono la tavola laterale di uno vetrina o un cassetto vuoto di un comò girato al contrario. Per rintoccare si utilizzarono un paio di cucchiai e addirittura si percuoteva sopra le padelle alla ricerca della poliritmia, sulla quale si cantava e con la quale si stimolava il ballo. Dal suo inizio, nello scenario abituale della rumba, si diedero appuntamento i discendenti delle più diverse etnie e popoli africani che erano arrivati a Cuba in come schiavi. Probabilmente, alcuni dei ritmi e delle forme di canto che hanno caratterizzato questa festa fin dai suoi inizi trovano i loro antecedenti nei baraccamenti degli schiavi; senza dubbio, gli elementi stilistici ed espressivi che cristallizzarono nell’ambiente suburbano della rumba, furono determinanti perché questa raggiungesse la sua configurazione attuale. Alcuni degli elementi ritmici e melodici, così come determinate caratteristiche degli strumenti, si andarono precisando nello svolgimento di queste feste. Con il tempo tali eventi divennero ripetitivi e regolari e si arrivò così a definire il carattere della rumba ed a creare così le basi per la formazione, nell’ambito di essa, di vari generi musicali, quali il guaguancò, la columbia e lo yambù. Tutti questi generi rimasero compresi nella definizione generale di rumba.. Dalla tavola della vetrina, dal cassetto e dalla padella, si passò all’utilizzazione di casse di differenti grandezze. Fu frequente fin dall’inizio l’utilizzo delle casse con cui si trasportava il baccalà, costruite con ottimo legno e che venivano percosse con due cucchiai.Ad alcuni strumenti si migliorò la sonorità piallando le assi e chiudendo le fessure. Alle casse si aggiungeva l’accompagnamento di un cantante solista e con la clave si stabilì una base alla poliritmia generale. Successivamente le casse vennero sostituite da tamburi a membrana unica e subito il loro numero in un gruppo di musicisti arrivo a tré. Il complesso musicale si ampliò con un altro esecutore che percuoteva con due bastoni il corpo di legno di uno dei tamburi, ritmo questo, conosciuto con il termine “cáscara”. Più tardi i ritmi della cáscara passarono ad essere eseguiti su di un piccolo tronco cavo, sospeso su di una intelaiatura di legno che prese il nome di catà. Ogni strumento assunse una funzione ben definita nella poliritmia. I tamburi presero il nome generico di tumbadoras ed arrivarono a costituire uno degli apporti fondamentali al patrimonio strumentale musicale oriundo di Cuba. Gli antecedenti di questi tamburi, i cui corpi erano costruiti con doghe di legno, li possiamo localizzare nei tamburi ngomos utilizzati dai gruppi etnici del conglomerato linguistico bantú. Senza dubbio, furono molte le trasformazioni che subirono per adattarsi alla necessità espressiva della rumba cubana. In questo senso, nella rumba si verifica, forse in forma più chiara che negli altri generi musicali cubani, lo spostamento delle interpretazioni dei ritmi segmentati e parlanti verso i registri sonori più acuti del
complesso musicale. E’ comune nella musica rituale africana, e ovviamente nella maggior parte della musica afrocubana, che l’esecuzione dell’improvvisazione libera, che funge da centro dell’evento poliritmico, sia realizzata nei registri secondo la loro funzione musicale.Comparata con la concezione del discorso musicale europeo, questa distribuzione dei registri secondo la loro funzione musicale è esattamente il contrario. L’omologazione del timbro fu un principio che portò ad ottenere un’uguale qualità durante la costruzione di strumenti musicali nelle differenti regioni europee. L’assenza di questo principio in Africa ha permesso alla musica di arricchirsi di elementi poliritmici che emanavano fondamentalmente dagli strumenti membranofoni dei vari musicisti. Questo fatto si confermò in generale nella musica caraibica di origine africana Nel contesto della rumba si sviluppò al massimo questa concentrazione poliritmica nell’esecuzione dei tamburi e tutto questo si ottenne nel contesto di una distribuzione dei registri secondo la logica del discorso musicale occidentale. Nel complesso di generi della rumba, sussistono ancora oggi a Cuba, come folcklore vivo, solo il guaguancò e la columbia: di questi due è il guaguancò quello che gode di più popolarità e forza. Lo yambù è entrato da anni in una fase di decadenza, essendo oggi coltivato praticamente solo nella forma esclusiva per i gruppi di danza professionisti. Questi conservarono in questa forma artificiale, anche le rumbas che si andavano perdendo nei settori suburbani dove nacquero.
Il debutto del Danzon avvenne il 1° gennaio del 1879 nel liceo di Matanzas; questo nuovo genere musicale era interpretato da un’orchestra di strumenti a fiato diretta dal cornettista Miguel Failde. L’impatto che produsse tra i ballerini fu straordinario; tutti elogiarono il mulatto matanzero per la sua creazione e lo obbligarono a ripetere il brano. Ma da dove arriva questo novità artistica e musicale? Lo Contraddanza di origine europea arriva a Cuba da vie differenti: dall’Inghilterra, con le navi inglesi che sbarcarono all’Avana nel 1762 e dalla Francia, la cui egemonia è evidente nei centri urbani orientali dell’isola nell’assimilazione delle mode, anche se leggermente arretrate, provenienti dalle capitali europee. L’influenza francese culmina in seguito all’indipendenza haitiana che provoca lo spostamento migratorio dei francesi da Haiti a Cuba ( neri e coloni bianchi) alla fine del XVIII sec. e agli inizi del XIX sec.. A partire dal 1800, lungo tutto il secolo, la presenza delle classi molto distanziate tra loro. emerse in conseguenza all’importanza che acquistò Cuba grazie al commercio dello zucchero. Questo permise inoltre all’isola di avere un ruolo di centro radiante anche per ciò che riguardo la cultura musicale. In prima istanza per ‘introduzione dei piezas de quadros e di balli provenienti dalla moda europea. In secondo luogo, e ciò avviene lungo il XIX sec., per la danza e dalla presenza di forme che potremo già definire cubane. In questo secondo aspetto verranno inserite altre influenze europee nella musica cubana, come le romanze francesi, le arie operistiche e la canzone napoletana. L’apogeo della contraddanza l’incontriamo nel secolo passato: all’inizio dell’Ottocento, quando gli esperti nel ballarla la fecero divenire creola, grazie a due musicisti mulatti come Tomàs Alarcón, musicista e direttore di orchestra ed il maestro Menéndez che alla fine del sec. XVIII realizzano pezzi di contraddanza criolla. In seguito per un processo di semplificazione, la contraddanza divenne semplicemente danza, conservando la sua forma tradizionale di otto tempi musicali, che si ripetevano per un totale di trentadue volte. Nella vita urbana acquisto lentamente importanza questo ballo, celebrato di casa in casa, nelle sedi di ritrovo delle comunità più umili della popolazione, in cui venivano variate alcune caratteristiche, mentre in altre sale di ballo, luoghi di ritrovo della classe media e di alcuni dirigenti del paese, la danza manteneva un certo aspetto formale. Nel frattempo si introducevano altri balli provenienti dalle colonie, dei quali si apprezzarono certi stili, frutto dell’interpretazione creola (come i balli del chin chin, el congò, el cariaco, el tumbade, el toro, le dengue, la guambina, la caringa, e Juan Grande, la celebra ed altri.) In generale la contraddanza si ballò con quattro figure fondamentali: paseo, cadena, sostenido e cedano. Le prime due avevano un carattere tranquillo, mentre le seconde erano vivaci e piccanti. Dalle piezas de quadros derivavano parecchie forme folcloristiche cubane, in particolare il danzón, figlio diretto delle precedenti danze.
In sintesi, potremmo dire, ciò che emerge è un processo di continua evoluzione dalla contraddanza al danzón. Durante questo cammino convergono nel danzón una serie di fattori di folclore musicale cubano mentre altri si perdono o si associano ad altre forme musicali. Tra i fattori salienti che convergono nel danzón, già presenti nella contraddanza, e nella danza, è il ritmo del tango, il medesimo della habanera, che precisamente prese il nome di danza habanera. Poco a poco, in questa semplice combinazione di durata, si venivano affermando caratteristiche tipiche della tradizione cubana di oggi. Dopo aver concretizzato forma e stile, diventando genere musicale, el danzón aveva conosciuto innovazioni sostanziali come quelle apportate nel 1910 da José Urfé , il quale introdusse elementi del son orientale (o son montuno) o come quelle apportate nel 1929 da Aniceto Diaz con il suo canzonete. Ma quello che successe con il debutto del danzón “Mambo” del compositore Antonio Arcano y sus Meravillas, è da classificare come detonatore dal quale esplose, proiettata in varie direzioni, niente meno che la moderna musica popolare cubana. Con la linea musicale inaugurata da Antonio Arcano entrano a far parte della sonorità cubana fattori ritmici, melodici ed armonici che determinano un nuovo stile di danzón chiamato “Ritmo Nuevo”, basato sullo stile sincopato del finale del montuno. Chi però da una struttura reale al nuovo genere è Damaso Perez Prado, rendendo indipendente il montuno finale dai brani di “Ritmo Nuevo” e creando un nuovo universo sonoro. Perez Prado descrive così la sua caratteristica: “È sincopato, i sassofoni sostengono il sincopato in tutti i motivi, le trombe sostengono la melodia ed il contrabbasso, con l’accompagnamento di tumbadoras e bongos. Da questa musica e ritmo nasce il Mambo” II Mambo come genere musicale ha una sua collocazione precisa nel tempo e nello spazio: è un fenomeno musicale proprio degli anni Cinquanta, che si estese fino ai primi degli anni Sessanta. La sua mescolanza di elementi sonori ed orchestrali d’influenza Nordamericana, con le percussioni ed il ritmo base di radice afrocubana, costituisce uno dei capitoli più importanti nella storia della musica popolare contemporanea. E evidente in queste musica l’influenza del jazz, in modo particolare lo swing; il ritmo è in 4/4 con una sovrapposizione dei piani sonori. La coreografia del mambo è molto complicata e si può effettuare da soli o in coppia; la sua rapidità di movimento e la sincronizzazione rendono difficile la sua pratica collettiva facendo diventare così un ballo di pista-teatrale. Al principio degli anni quaranta figuravano diverse formazioni che eseguivano il danzón mambeado e tra queste vi era quella di Enrique Jorrin; egli crea una serie di danzón dove si canta e all’unisono un coro che ripete: -“Chachacha, chachacha, es un baile sin igual… “Lo stesso Jorrin spiega come costruì la struttura musicale del cha cha cha -“… composi alcuni danzón in cui i musicisti dell’orchestra cantavano del piccoli cori, il pubblico li apprezzò molto e così i musicisti cominciarono a cantare i brani che composi i seguito. ..Nel 1948 cambiai lo stile della canzone messicana “Nunca”, tenendo la prima parte originale e la seconda con un sentido ritmico differente della melodia; piacque così tanto al pubblico che decisi di rendere indipendente il finale montuno dal Danzón. Nacquero pezzi come “La Engañadora”, che ha una introduzione, una parte A ripetuta, una parte B seguite dalla ripetizione della parte A che termina in forma di rumba …quasi subito osservai i passi dei ballerini nel danzón-mambo. Notai la difficoltà e!la maggioranza con i ritmi sincopati… i ballerini in contro tempo e la melodia sincopata fanno sì che sia estremamente difficile collocare i passi rispetto alla musica… quindi composi delle melodie che si potevano ballare senza la necessità dell’accompagnamento … in stile vocale monodico, con accentuazioni di chotis madrileño e motivi ritmici emananti dal danzón in stile mambo, ma con una concezione formale nuova e affascinante che verrà chiamata in seguito Chachacha”.
Se c’è un genere di musica cubana che mostra l’integrazione di fattori spagnoli ed africani, questo e sicuramente il Son. I suoi elementi melodici, marcatamente spagnoli, mescolati a una ritmica di radice africana, la struttura basata nel contrappunto copla-ritornello, i testi brevi ed allusivi alla vita reale riportano alle origini di Cuba. La zona di origine del son si trova nella parte rurale, esattamente nella regione montuosa di Barracoa, Guantàmo, Manzanillo e dei territori suburbani di Santiago di Cuba nella parte orientale dell’isola. Lì confluirono nel secolo XIX circostanze socio-economiche e fenomeni culturali che, nella amalgama afro-ispanico-cubana più gli ingredienti dei settori provenienti da
Haiti, ne propiziarono la genesi. Già nell’ultima decade del secolo si concretizzò il genere musicale ed entrò nelle vie di Santiago dove lasciò la sua impronta sonora. Si menziona un musicista, Nene Manfugàs, come il primo che nelle feste carnevalesche del 1892 suonò i primi son montunos. I primi gruppi di son, ricordando che il termine allude non solo alla musica, ma anche al ballo, alla festa ed all’ambiente, erano costituiti da un trés rudimentale, un güiro ed un bongo, a cui si aggiunse più tardi una botijuela o marimbula. Il trés era costruito con una cassa di legno (guelle che erano utilizzate per conservare il baccalà), un manico sempre di legno e tre corde di hechas de currican incerate. Il güiro era costruito da un frutto svuotato ed essiccato su cui si incidevano delle scanalature che venivano sfregate da una bacchetta. Il son montuno basa la sua struttura letteraria nella quartina, chiamata regina nella regione orientale, che culmina nel dialogo solista-coro, nel ritornello obbligato. La prima forma di son montuno, che ebbe le sue radici nella zona di Guantanamo, era denominata changuü. Il vocabolo designa ballo o festa familiare che include ballo, canto, musica, mangiare e bere. Tra i più noti musicisti di questo genere musicale si contano Benjamin Castellanos, Marcelino Latamblé, Raùl Carpe, Pedro Masó, Juan Logás, Chito Latamblé; opere classiche del son guantanamero sono: “EI guararey de Pastorita”, “Camarón”, “Maria Guevara”, “Vengan a Ballar”, “Son de Castellanos”. Al principio del XX sec. Il son va espandendosi e si situa nel 1909 la sua entrata nella città dell’Avana per opera dei soldati dell’esercito permanente del governo di José Miguel Gómez. Il momento, peró, in cui il son ottenne un riconoscimento ed una chiara diffusione è quando, nel 1920, si fonda il famoso Sexteto Habanero. Questo gruppo perfezionò lo stile distintivo del son cubano, basato sul tocco del trés, sul plettrato continuo della chitarra, accompagnata dalle maracas, con la c/ave che marca il ritmo di due per guattro, con la botija o marimbula, sostituita dal contrabbasso, che esegue un ostinato caratteristico e la tromba che esegue ildiscorso melodico, così come per le improvvisazioni del montuno, in contrappunto con il cantante. Negli anni Venti sorsero altri sestetti e settetti come “Occidente”, “Boloña” ed il leggendario “Septeto Nacional” di Ignacio Piñeiro, nato nel 1927. Con Piñeiro il son cubano acquista un segno inconfondibile, permeandosi di elementi di guaguancó e della clave habanera. Tra i numerosi successi di questo musicista si devono ricordare “Bardo”, Quatro palomas”, “No jueges con los santos”, “El guanaco relleno”, “Buen Viejo”, “Entre tinieblas”, “Mentiras, “Salomé”, “Suavecito”, ecc. Una pietra miliare, senza dubbio trascendente, nella conformazione e diffusione del modo sonero, è l’invenzione, da parte di José Urfé, nel 1910, in “El bombín de Barret”, dell’unione tra la forma danzonera ed il son, incorporando al danzón, nella sua terza parte, un montuno. Nella storia del son cubano, figura, universalmente famoso, Trio Matamoros, fondato nel 1927 a Santiago de Cuba dal compositore, cantante e chitarrista Miguel Matamoros insieme al cantante e chitarrista Rafael Cueto ed al vocalista e maraquero Sirio Rodriguez: questa Trinità della musica antilliana ha la sua consacrazione a partire dal 1928, anno in cui cominciarono a circolare le loro prime incisioni discografiche. Il son alla maniera oriental trovò nella voce di questi tre trovatori un sigillo unico. Il timbro alto di Matamoros, unito a guello intermedio di Cueto e al basso di Rodriguez, creò un impasto vocale perfetto. Tra i son immortali del trio emergono “Son de la loma”, El que siembra su maiz”, “La mujer de Antonio”, “El paralitico”, “Hueso na’ ma , oppure nei boleros-son come: “Lagrimas negras”, “Olvido”, “Triste, muy triste… “. Se Ignazio Pinheiro fu l’artefice del son-guaguancò e Miguel Matamoros perfezionò il bolero-son, tocca ad Antonio Fernàndez e Nico Saquito il merito di aver creato una serie di indimenticabili guarachas-son, tra cui “Compay gallo”, “Maria Cristina”, “Jaleo”, ” No dejes camino pro vereda”, “Francisco pro toro laido”, “La negra Leonor”. Vi è inoltre un’altra fusione che arricchisce l’orbita sonera, la guajira-son, la più famosa delle quali è l’immortale “Guajira Guantanamera”. Intorno al 1940 venne alla ribalta il complesso di Arsenio Rodriguez. Il geniale suonatore di trés e compositore rivisitò il son cubano soppiantando il settetto con l’orchestra che includeva il pianoforte, la tumbadora e tre o quattro trombe, ottenendo così una sonorità differente per questa musica; il pianoforte rinforzava l’aspetto armonico-melodico, la tumbadora rinforzava l’aspetto ritmico-percussivo e le trombe ampliavano considerevolmente le possibilità interpretative nell’armonia. Rodriguez, oltre che lavorare sulla linea del son-guaguancó, introdusse molti elementi di origine africana nella ritmica e nel testo dando vita all’afro-son, fenomeno di cui il migliore esempio è il
brano “Bruca manigua”, portata al successo do Miguelito Valdés. Arsenio Rodriguez ed il suo complesso segnano un salto nella storia del genere, dando origine non solo al son contemporaneo, ma soprattutto alla nuova forma del complesso musicale. La divulgazione del son, portata avanti fino a quel momento dal trio Matamoros e da Los Guaracheros de Oriente, dai quartieri di Machin, e dai settetti Habanero, Boloña, Nacional, continua, a partire da Arsenio Rodriguez con i suoi complessi nella nuova formazione orchestrale, su cui spiccano i gruppi Jovenes del Cayo, Sonora Matancera, Kubavana, Casinò, oppure orchestre di tipo jazz band come Casinò de Playa. Con queste formazioni che portarono una sonorità nuova e ricca, con i loro cantanti innovatori nello stile, con i loro arrangiamenti che svolgono un ruolo preponderante, il genere si veste di grazia, senza perdere il senso delle origini. Formell, nel 1967, con la orchestra Revé, rinnova la storia fondendo il changüi (una variante primigenia del son) con il rock. Varia inoltre il suono timbrico introducendo la chitarra ed il basso elettrici, la batteria, dando un trattamento diverso ai violini e al flauto. Nel 1970 Formell fonda Los Van Van, continuando a rivoluzionare il son cubano, ed introducendo il songo. Altre formazioni di nuovo tipo seguono questa linea, incorporando tromboni, rinforzando così il suono elettrico degli strumenti . Da questa linea si distacca Adalberto Alvarez con il suo gruppo di son. Le sue creazioni, i suoi arrangiamenti, la sonorità che imprime al gruppo, lo porta ad un risultato di successo del genere creolo. È alla metà del XIX sec. che si osservava la presenza della guaracha nel teatro buffo della capitale cubana, debitrice degli aspetti scenici spagnoli, sebbene permeata dalla rumba antilliana , fu fin dal principio portavoce dello spirito festivo e satirico cubano, perché il popolo la utilizzava per criticare, in tono burlone, i governi coloniali. Las guarachas si accompagnano con le chitarre, unite a strumenti come il güiro, las maracas, a cui più tardi si aggiungerà il trés. Le voci dei guaracheros ripetevano il ritornello, mentre il coro dava la copertura tematica alla strofa intonata da un solista. Alla fine del XIX sec. la guaracha andò variando il suo schema formale, cambiando l’alternanza di coro-solo per una struttura consistente in una parte iniziale narrativa, seguita da un ritornello, a cui si contrappone il coro, che ripete il motivo fisso ed un solista che realizza improvvisazioni e variazioni. Argeliers Leon ,nella sua opera “De/ canto e del tempo”, definisce così questo momento: “La guaracha adotta un’aria molto vivace e un ritmo che ricorre al tradizionale schema della habanera o dei ritmo tango.” Alla fine degli anni Trenta si evidenzia la trasformazione della struttura formale della guaracha, aprendo così i il passo ad una fusione con il son, cosa che si può notare nelle creazioni di Antonio Fernàndez, Nico Saquito, al punto di chiamare l’ibrido guaracha-son; da un altro lato si produce un vincolo con la rumba. Nello decade degli anni Quaranta, l’allegro genere penetra nel repertorio delle jazz band cubane, fatto che assicura la sua diffusione alla radio, nei teatri, nelle sale da ballo e nel cinema. Mentre gli anni Quaranta e Cinquanta furono gli anni di maggior auge di questa espressione popolare, negli anni Sessanta e Settanta la produzione guarachera soffrì un calo, anche se autori come Emilie Cavailhon con “La Chica del granizado” e Rodulfo Vaillant con “La escoba Habanera” mantenevano vivo il genere. Negli anni Ottanta vennero proposte le famose guarachas di Pedro Luis Ferrer e le parodie col ritmo di guaracha di un trovatore come Alejandro Garcia, Viralo, hanno significato una continuità in questa tipica manifestazione cubana. Quando Ignazio Piñeiro compose il son in cui narra: “Salí de casa una noche aventurera / buscando ambiente de placer y alegria / Hay mi Dios! Quanto gocé / en un sopor la noche pasé… ” stava nascendo la salsa nel grande calderone della musica antilliana. Passò del tempo ed un uomo accompagnato dal suo trés e dal suo talento inventava un nuovo suono, un timbro differente, un’aria ritmica originale: Arsenio Rodriguez. Da quel momento la musica popolare cubana non fu più la stessa. Continuò il suo agitato corso creativo con l’interpretazione e ‘orchestrazione del son… E così fu che una sera, seduto in uno studio dell’emittente “Radio Progresso”, con una matita in mano, un semplice lavoratore dell’arte dei suoni realizzò un arrangiamento che suonò in modo diverso: il suo nome era Severino Ramos e in quel minuto luminoso egli stava dando vita a uno stile nuovo di strutturare le trombe, il piano, il contrabbasso, le percussioni e il coro greco-antilliano; stile che si può considerare il principale
progenitore di quel fenomeno musicale che oggi, a distanza di quarant’anni, costituisce la salsa. La salsa cubana stava, da tempo, dando condimento al menù musicale. In tutte le nazioni del Mar dei Caraibi. Puerto Rico, Santo Domingo, Venezuela, Colombia, Panama, Messico, nonché in quell’isola antilliana che è il barrio latino d\ New York, sentivano le trepidazioni del ritmo nato a Cuba. Giunse il momento, gli anni Sessanta, in cui l’embargo stabilito contro Cuba dagli Stati Uniti fece diminuire, fino alla scomparsa, i prodotti musicali dell’isola. Gli impresari statunitensi furono sempre inclini ad imporre un solo nome, commerciale, facile da ricordare, sintetico, ai generi musicali. Bisogna ricordare come per la cultura anglossassone nordamericana, el son, la guaracha, elguaguancó, la conga, e perfino il bolero, ricevevano il nome di rumba. Si discute sull’origine del patronimico della salsa. Si parla di un programma radiofonico Venezuelano che si annunciava come “La Hora de la Salsa”, si ricordano i musicisti con questo pseudonimo radicati negli Stati Uniti, si ricorre a titoli di composizione di son… Però l’importante è che da questo nome andò generandosi un movimento con la sua filosofia, un fenomeno musicale indiscutibile.
La comparsa era un ballo collettivo e di marcia, tipico delle celebrazioni profane degli schiavi durante il periodo coloniale, specialmente durante le festività del Corpus Cristi e nel Dia de Reyes. Il 6 gennaio intatti fu, durante i secoli della dominazione spagnola a Cuba, una delle date più importanti per gli schiavi africani. Per ventiquattro ore, essi avevano il permesso di cantare, ballare, con ritmi provenienti dalla terra di origine, per le strade delle città come La Habana, Santiago, e altri centri urbani, assaporando una breve e transitoria libertà. Los Cabildos, associazioni di mutuo soccorso di differenti nazionalità e gruppi etnici africani, come congos, lucumies, yoruba, araràs, mandingas, etc., marciavano verso la Plaza de Armas, in una competizione, ostentando costumi sgargianti e balli allegri di fronte al Governatore Generale dell’Isola, contendendosi “el aguinaldo”, piccola somma di denaro che le autorità coloniali offrivano ai vincitori. La celebrazione continuava per tutto il giorno , percorrendo i barrios della città fino alle estreme periferie, fino al tramonto. Nascosti dietro i costumi africani di Kulonas, Kokorikanos, Peludos, Mojigangas, gli schiavi dimenticavano per un giorno la terribile condizione della loro vita sottomessa alla borghesia schiavista. Con il tempo questa celebrazione si evolse. I diversi cabildos, incitati alla rivalità tra loro, adottarono stendardi e costumi diversificati. I barrios popolari erano percorsi da donne mulatte e nere, elegantemente vestite, che intonavano ritornelli allegri e agitavano marugas metalliche. Per le strade sfilavano “Los tangos”, squadre di uomini, senza un ordine fisso, usando i vestiti più stravaganti. Con il passare del tempo, queste manifestazioni spontanee vennero organizzate, presero il nome di “comparsas” e si evolverono fino all’ allegra forma moderna. La continuità di questa manifestazione folcloristica fu fortemente accidentata. Per alcuni anni fu vietata dalle autorità moraliste che le consideravano frutto e simbolo di barbarie. Ciò nonostante, questa tipica espressione della vitalità cubana seguì il suo corso. Esistono comparsas di donne, di uomini e miste. I temi che le ispirano possono essere svariati: di carattere patriottico, di satira sociale e di costume, ecc.. Alla fine del secolo scorso esistevano comparsas che riproducevano elementi teatrali archetipi e dove si rappresentavano antiche forme di contenuto totemico, come “El Pajaro lindo”, di cui sopravvive la forma recente “El Alacran”. Gli strumenti musicali utilizzati attualmente sono molti: tambures, cencerros, sartenes, bombos, cornetines y marugas. I canti delle comparsas , chiamate anche congas, mantengono la struttura solista /coro che caratterizza tutta la musica afrocubana. Il testo e la musica vengono prodotti da autori anonimi provenienti dal popolo e membri delle stesse comparsas, con temi che toccano svariate forme di vita quotidiana. A volte i testi si limitano a frasi senza senso o contro senso, però altamente ritmiche, improvvisate su di una melodia alla moda. La comparsa, per le sue caratteristiche, per i suoi costumi e pei il ritmo trepidante dei tamburi, è oggi La Danza Nazionale di Cuba.
Riuscire a tracciare una storia della Salsa risulta impresa ardua e difficile. Tracce delle sue origini possono essere riscontrate nella cultura musicale di molti paesi del Centro America, in modi e caratteristiche diverse: da Cuba a Puerto Rico, dalla Colombia al Venezuela. Cercheremo di
delineare gli aspetti cronologici e socio-musicali delle diverse realtà, senza voler definire delle verità assolute, scelta questa confortata dal fatto che diverse sono e a volte contrastanti le teorie sulle origini della salsa. La maggior difficoltà, nel definirla e nel inquadrare la sua evoluzione, è intrinseca nella sua natura ibrida e molteplice: dalla sua nascita nella diaspora delle radici nei diversi paesi, la ricchezza delle sue contaminazioni e trasformazioni, in luoghi e ambienti diversi. Per alcuni Salsa è solo quella cubana, influenzata dal Son e dalla Rumba, altri preferiscono identificarla con quella portoricana e altri ancora con lo stile metropolitano di New York. A nostro avviso Salsa è “una”, forma musicale meravigliosa, grazie alla miriade di particolarità e differenze da cui si connota in relazione al suo luogo di provenienza. La Salsa possiede degli elementi ad essa tipici, che la definiscono, e fanno si che essa rimanga sempre e comunque fedele alla sua struttura originaria, nonostante subisca trasformazioni e mutazioni. Dalle Isole dell’America Latina al Barrio, quartiere latino di New York, alle fredde città europee.
Altre teorie sulle origini della Salsa la vogliono come la sintesi di ritmi a lei precedenti, come il son, la rumba, il mambo, la guaracha. Nella tradizione cubana viene considerata come un rituale di galanteria e corteggiamento in musica. Per altri la Salsa evidenzia il suo carattere tribale nella sua essenza più antica. Essa, infatti discende originariamente dalla tradizione africana, già ampiamente delineata nei paragrafi del capitolo precedente. Si sostiene in sintesi che le prime forme di clave siano già presenti nel continente nero e che la sua forma più tradizionale si crea in Africa. Dall’incontro successivo di tradizioni e culture diverse (africane da una parte ed ispano-europee dall’altra), approdano nel continente americano strumenti, ritmi, canti, religioni, culti. Le linee fondamentali della melodia e dell’armonia europea furono rapidamente integrate nei ritmi arrivati dall’Africa, in una terra fertile e creativa come quella caraibica, trovando in Cuba il centro di confluenza e d’interazione. Mentre alcuni ritmi come la Conga, la Rumba, il Guaguancó, lo jambù la Columbia, rimasero attinenti ad una sonorità africana, il Danzón si può considerare il primo prodotto dell’isola non più africano e nemmeno europeo, ma ibrido nato dall’incontro della contraddanza francese con i ritmi africani. Alla proclamazione dell’indipendenza di Cuba nel 1901, restrizioni mai prima imposte vennero applicate nell’ambito socio- culturale, tra cui quella di suonare i tamburi di provenienza africana. Questo provocò la nascita di formazioni vocali chiamate Coros de Clave, diffondendo la vocalità e testi per canzoni. Queste nuove tendenze si spostarono dalle campagne verso le città ed intanto prendeva sempre più piede una nuova forma musicale: el son. Il Son combina una parte lirica che espone un “tema” con una parte ritmica (il montuno). Una terza interpretazione considera deleterio porsi il problema dell’origine della Salsa, dal momento in cui questa semplice parola nacque come termine commerciale, sviluppatesi negli Stati Uniti per inglobare i diversi ritmi musicali caraibici e in senso lato, latino-americani, uniti ad una base comune: la clave. Come è accaduto al Mambo, alla Rumba e alla maggior parte dei ritmi latini, anche la Salsa ha presto varcato i confini cubani per approdare degli Stati Uniti. Qui, intorno agli anni Settanta, grazie all’interazione con altre culture musicali, nasce e si sviluppa la Salsa Metropolitana. Vivace e fantasiosa, meno aristocratica e più vicina alla dura realtà del Barrio, il Quartiere Latino di New York. Questa città diventa terreno fertile per la sua trasformazione, punto di riferimento per artisti latino-americani di diverse provenienze. Nei ghetti delle grandi città americane l’emarginazione, la povertà e la lotta quotidiana per la sopravvivenza mettono a dura prova gli immigrati, che hanno lasciato la loro terra per cercare fortuna nell’Eldorado americano. Il Barrio è popolato da portoghesi, venezuelani, cubani, uruguaiani, colombiani e portoricani, una miriade di culture diverse, ricche di storia e tradizioni musicali. Il Son Cubano trova terreno fertile nella sua metamorfosi e s’incontra con altrettanti ibridi quali il Jazz, il Rhythm’n’blues, la cumbia e la sorella Rumba. Tra i seguaci della teoria che rivendica la nascita di questo glorioso ballo, sono i portoricani, di Puerto Rico, colonia americana, isola indipendente, che a differenza di Cuba, vittima dell’embargo economico, riuscì negli ultimi trent’anni a sviluppare ed incrementare con nuovi
elementi questo nuovo e frizzante ritmo musicale chiamato Salsa. Di contro, si afferma, Cuba rimase legata alle sue tradizioni popolari. Oggi è possibile dire che ciononostante Cuba, pur pressata da ristrettezze economiche e dall’isolamento, non fu certo ignara alle novità, e meno che mai quelle provenienti dalle culture musicali alternative come l’Hip Hop. Da qualche anno siamo coscienti che un nuovo genere musicale (danzante?) è nato a Cuba, frutto dalla mescolanza della tradizione afrocubana con gli umori metropolitani, Jazz e Hip Hop, che prende il nome di Timba. Puerto Rico fu sicuramente avvantaggiata dall’aiuto delle case discografiche americane che fecero da trampolino di lancio per la musica portoriqueña. La produzione musicale della ”isla del encanto” s’incrementò, migliorandosi, diventando culla per la nascita di grandi artisti ed orchestre come “El Gran Combo de Puerto Rico”. Ma risalendo alle origini dei gruppi musicali storici della Salsa, non possiamo fare a meno di nominare la grandiosa “Fania All Stars”, ideata dal flautista Jhonny Pacheco, che riuscì a farsi finanziare il progetto di assemblare una orchestra formata dai grandi della musica latina come Tito Puente, Celia Cruz, Roberto Roena, Papo Luca, Ray Barreto, Ruben Blades, Roberto Rodriguez e Willy Colón. In pochi anni il fenomeno Salsa esplose in tutto il mondo, con grande attenzione da parte delle case discografiche americane. Gli addetti ai lavori si ritrovarono in mano un prodotto di grande commerciabilità, privo di nome. Non si poteva chiamarlo Son, perché facilmente confuso con la parola di origine inglese sound, così qualcuno pensò di utilizzare una parola che fosse al tempo stesso facile da ricordare e sinonimo di miscela, come appunto il termine Salsa. Robert Palmer, critico musicale del New York Times, conoscitore dell’universo musicale americano, afferma che, nonostante la fusione di differenti elementi musicali, negli Stati Uniti d’America i bianchi ballavano e ascoltavano Rock, i neri suonavano il Blues, mantenendo viva la segregazione razziale; nel Barrio invece, la Salsa è motivo di unione, luogo in cui si fondono culture diverse senza alcuna distinzione di razza e di provenienza. Tito Puente, grande timbalero della Fania All Stars, e per certi versi creatore della Salsa, era fortemente contrario al termine “salsa”, sostenendo che questa parola è stata “inventata chi “vende” musica, con l’intento di creare etichette a tutti i costi: “La salsa si mangia, non si suona” afferma. Al di là di tutto, una cosa è certa, il segreto di questo ritmo sta proprio nella sua universalità, nelle infinite definizioni possibili che potrebbe acquisire. Salsa vuole dire ritmo, passione, calore, ballo, comunicazione, ma anche critica, politica, avanguardia, contaminazione, espressione di molteplici linguaggi, perché, nella lunga storia della musica latino-americana, il rapporto tra pensiero e fisicità, tra impegno e divertimento, è stato strettissimo, tutto riunitosi in un unico universo, quello Salsero.
Fra i gruppi etnici che popolano il territorio cubano, furono quelli appartenenti agli yoruba ed all’area linguistica denominata bantù che influenzarono maggiormente i diversi generi musicali. I credi e le religioni provenienti da questi gruppi africani arricchirono l’arte e la cultura di tutta la regione. Ancora oggi, frequentemente, si incontrano strumenti musicali, canti, ritmi, balli e musiche per riti magici e religiosi: tutti conservatisi nelle stesse forme in cui arrivarono dall’Africa centinaia di anni fa. A Cuba, gli schiavi di etnia yoruba si coagularono in una comunità che prese il nome di lucumí. La forma originale della loro musica si può trovare meglio conservata nelle aree occidentali di Cuba, soprattutto a L’Havana e Matanzas, dove ha mantenuto le sue forme originali, in special modo per quanto riguarda i canti, i ritmi e gli strumenti musicali. All’interno del sistema di schiavismo dei dominatori spagnoli, teso a spogliare gli schiavi della loro cultura originale, come mezzo per evitare rivolte, alcune concessioni permisero agli stessi schiavi di conservare in qualche modo le loro tradizioni ed i loro sistemi di vita. Da una parte, fu infatti concesso loro di suonare i tamburi ed eseguire i canti come facevano in Africa, dall’altra si permise che schiavi e liberti provenienti dalla stessa regione africana si raggruppassero in forme di società di mutuo soccorso che presero il nome di cabildos. In alcune città cubane, inoltre, nelle chiese, si formarono delle confraternite che spesso comprendevano africani dello stesso gruppo etnico.
Nell’ambito di tali confraternite, si organizzavano processioni, preghiere collettive ed altre manifestazioni religiose durante le quali si utilizzavano musiche e ritmi tipici delle radici culturali africane dell’etnia che formava la confraternita. Una tradizionale occasione per tali manifestazione era l’Epifania, o Día de Reyes: in questo giorno, i membri del cabildo percorrevano in processione le strade della città e molti di loro arrivavano fin davanti al palazzo del governo (Palacio de los Capitanes Generales) per ballare e cantare davanti alle autorità. Alcuni di loro erano mascherati e truccati, altri suonavano strumenti, soprattutto percussioni. I cabildos erano organizzati gerarchicamente. Avevano un re ed una regina, un tesoriere, un maggiordomo ed una serie di livelli sociali all’interno dei quali ogni individuo aveva una sua determinata importanza. Per poter conservare la loro religione, proibita dagli spagnoli, gli schiavi conferivano ai loro ancestrali dei (orishàs) africani l’immagine e le caratteristiche dei vari santi del cattolicesimo. L’etnia yoruba è forse stata quella che ha spinto fino all’estremo questo escamotage, fino al punto di chiamare la propria religione “Santería” perché fosse meglio confusa con il culto dei santi cristiani. Il suo vero nome è “Regla de Ochà”. Un’altra importante forma di aggregazione, oltre ai cabildos, era costituita dall’associarsi intorno a case e famiglie a cui si dava il nome del santo (orisha) a cui la casa stessa era consacrata. Questo nucleo sociale permise di depositare e conservare sia le radici religiose che le regole sociali e le manifestazioni artistiche. In una stanza di questa casa-tempio (íle-ocha) si custodiscono gli oggetti magici dedicati agli orishas. Si ritiene che tali oggetti abbiano i poteri peculiari del santo al quale appartengono. Nella stessa stanza, o presso di essa, si suonano i tamburi per evocare il santo. Anche le comunità che si creavano intorno alle case-tempio erano organizzate in gerarchie, alla sommità delle quali vi erano le madrinas. Il livello ancora più alto, quello dei babalaos, rimaneva riservato, come in Africa, agli uomini. Altro importante livello gerarchico, soprattutto per quanto riguarda la musica, era l’olubatá, o dei tamboreros de batá , anch’esso riservato agli uomini. Nelle case-tempio venivano celebrate varie festività, in genere per iniziazioni o commemorazioni, dette Toches para los Santos. Gli strumenti musicali più importanti, usati nelle manifestazioni dei cabildos e nelle case-tempio yoruba, sono i tambores batà. Questi tamburi, a Cuba, hanno mantenuto la loro tipica forma “a clessidra”, originatasi in Africa, aumentando però il diametro delle loro due superfici di percussione. Vengono sempre suonati a gruppi di tre: l’iyá, il più importante e più grande, l’itoteles ed l’okónkolo, il più piccolo. Vengono collocati sopra le gambe del tamborero, che può così, da seduto, percuotere con le mani entrambe le superfici, tese per mezzo di due tiranti di cuoio. Al tambor iyá sono di solito cuciti campanelli ed anelli di cuoio: i chaworó. I credenti dicono che i tambores batà posseggono un segreto chiamata añá: si suppone che esso sia un orisha che vive nel tamburo, soprattutto nel iyà. Per tale motivo, i tambores batà sono considerati oggetti sacri della Santeria fin dal momento in cui iniziano ad essere fabbricati e tale momento è soggetto ad un rituale. Inoltre essi devono rimanere tabù per i non iniziati. L’etnia yoruba ha importato dall’Africa anche i tambores iyesá: si tratta di quattro tamburi cilindrici, anch’essi con due superfici (le facce piane del cilindro) di differente misura, delle quali, a differenza dei batà, soltanto una viene percossa. Vengono anch’essi usati durante le cerimonie magico-religiose. Esistono altre tipologie di tamburi appartenenti alla cultura yoruba, che vengono usati in occasioni diverse dalle manifestazioni religiosi. I più conosciuti di questi sono i tambores bembé, che si differenziano dai batá e iyesá in quanto il loro cuoio non è teso da tiranti ma inchiodato e quindi, per essere accordato, viene scaldato. Generalmente, una caratteristica dei canti della santeria è quella di essere eseguiti da un solista (detto “gallo” o “insulso”) e da un coro (“vassallo” o “muana”). L’importanza del contributo che l’etnia yoruba ha dato alla cultura musicale afro-cubana è probabilmente dovuta al fatto che il commercio degli schiavi dalle zone d’origine di tale etnia non ha praticamente avuto soluzione di continuità e si è protratto dal xvii al xix secolo. Inoltre, quando la loro deportazione cominciò, il popolo yoruba aveva raggiunto un alto livello d’organizzazione e ciò permise un rapido ed efficace trapianto delle loro tradizioni culturali nel nuovo mondo. Un altro gruppo etnico che contribuì fortemente alla formazione della cultura afro-cubana, è quello proveniente dalla regione del fiume Congo e che venne identificato a Cuba proprio con il nome di quel fiume. Anche i congo, come gli yoruba, si organizzarono in cabildos ed attorno alle case dei
tata-ngagas, cioè dei sacerdoti della loro religione. I tata-ngangas erano conosciuti anche come brujos o paleros, in quanto al loro culto fu dato il nome di Regla de Palo. Anche i congo importarono, oltre alle loro tradizioni, arte e cultura anche i loro ritmi ed i loro strumenti musicali, in special modo quelli a percussione, tra i quali il più conosciuto ed usato è la guagua o catá, un tronco cavo che, che, a differenza dei tambores yoruba, viene percosso con due paletti di legno e non a mani nude. Appartenenti alla tradizione culturale congo sono anche i tambores ngoma, che hanno una sola superficie di percussione e sono a forma di botte. Tipici dell’etnia congo sono i “Cantos de fondamento” o “Cantos de Palo”: questi sono canti e musiche usate dai congo per pregare, per incrementare il potere magico dei tata-ngangas e per favorire gli stati di possessione tra gli adepti. Esistono poi altri tipi di canti più profani e, generalmente, di carattere satirico detti “Cantos manguas” o “makaguas”. Dalla variegata etnia congo, nascono anche i canti e le musiche “makuta”, per accompagnare le quali, durante caratteristiche feste, oggi non più in auge, veniva utilizzato un particolare strumento, la marimbula: una scatola di legno, lungo uno dei lati maggiori della quale venivano inseriti dei filamenti metallici che si percuotono con le dita. Più tardi, con la nascita del son, la marimbula avrà un ruolo importantissimo nei “conjuntos” soneros, nell’ambito dei quali sotituirà il contrabbasso. Spesso si utilizzavano come strumenti gli utensili della vita quotidiana o rudimentali tamburi ricavati da tronchi d’albero svuotati della loro parte interna sopra i quali si fissava con chiodi il cuoio che veniva percosso sia con le mani che con bacchette di legno; anch’essi, come i batá e gli ngoma, venivano suonati a gruppi di tre: uno grande, uno medio ed uno piccolo.. Questi tamburi vennero chiamati tambores yuka ed i balli che si eseguivano al loro ritmo erano i bailes yuka, in cui le coppie ballavano distaccate ed il maschio, attraverso movimenti di bacino, cercava il contatto con la donna per eseguire la mossa del colpo pelvico che simboleggiava il possesso della donna, che invece tentava di evitarlo: l’attuale rumba, soprattutto la rumba guaguancó, ha ereditato questo tipo di movenze. Un’altra etnia che ebbe particolare importanza nella formazione della cultura musicale afro-cubana, è quella composta da varie tribù proveniente dall’area geografica Calabar, situata nella occidentale dell’Africa. I componenti di tale etnia, a Cuba, furono chiamati carabalí. Anch’essi formarono il loro cabildos, che presero il nome di Sociedades Segretas Abukuá o Potencias Abukuá. Citiamo, per concludere, le etnie arará, miná, mandinga e gangá. Anche queste, come tutte le altre, portarono dall’Africa le loro traduzioni e la loro musica, che in parte si mantennero intatte ma che, tute insieme, contribuirono al formarsi di un’unica cultura conosciuta come afro-cubana.
LA Bomba nacque alla fine del secolo XVII in Loiza, un paese portoricano con una Forte presenza africana. La Bomba si diffuse nei luoghi vicini alle piantagioni coloniali dove gli schiavi africani provenienti dall’Africa Occidentale e tutti i loro discendenti lavorarono. Questa era una danza in cui gli africani in schiavitù celebravano i loro battesimi ed i loro voti, oltre pianificare le loro ribellioni. Per questo motivo, questa celebrazioni erano permesse solo di Domenica o nei giorni festivi. Nel ballo della Bomba, il suono dei tamburi, fatti di pelle di baccalà e di botti di rum, svuotati al loro interno, attiravano la popolazione in un cerchio. I ballerini, contendendosi, prendevano a turno i tamburi, creando un dialogo con i loro movimenti, dove il tamburo rispondeva. Le ballerine ingenere ballavano scuotendo le gonne, alzandole facendo vedere le sottovesti per ridicolizzare l’esibizione, mettendo in mostra lussuosi pizzi intimi, utilizzati da le donne dell’alta società delle piantagioni. La Plena invece nacque nei borghi delle classi lavoratrici, cento anni fa. La suo origine è il risultato del cambio dal regime spagnolo a quello nordamericano e l’abolizione della schiavitù che provocò la disoccupazione tra gli ex-schiavi occupati nelle piantagioni coloniali e la loro ricerca di nuove opportunità lavorative nell’isola di Puerto Rico. La Plena era conosciuta come il “periodico (giornale) cantato”, perché il suo testo illustrava storie e racconti della vita corrente della gente del popolo. Oltre avere radici musicali e culturali nell’Africa Occidentale, essa possiede influenze della musica jibara (spagnola-araba), degli indios tainos, dei saloni di ballo di stile europeo ed infine della musica degli schiavi liberati che viaggiavano, provenienti da altre zone dei Caraibi di lingua inglese, verso Puerto Rico, alla ricerca di lavoro.
Quando un portoricano pensa allo Plena, due sono le cose che gli vengono in mente: i cappelli bianchi in stile “Panama”, usati dagli uomini ed i tré o più tamburi utilizzati, assieme a las panderetas o pleneras.
II Merengue è un ballo folcloristico ampiamente diffuso e che molti considerano il ballo nazionale di Santo Domingo. Ancora oggi si discute sulle origini del merengue. Tra le opinioni diverse troviamo le seguenti interpretazioni: – Fu Alfonseca che inventò il Merengue (Secondo Florida de Nolasco) – La sua origine e apparizione si perde negli albori del passato (Julio Alberto Hernandez) – Nacque con le caratteristiche di melodia creola tra le battaglie di Talaquera dove vinsero i dominicani (Rafael Vidal) – Molto probabilmente il merengue nasce da una musica cubana chiamata upo, in cui una delle sue parti si chiama merengue. La upo, attraverso Puerto Rico, arrivó a Santo Domingo alla metà del secolo scorso (Fradique Lizardo) Molto probabilmente Lizardo si avvicina al nocciolo della questione. Nel 1844 il merengue non era ancora popolare e dovrà attendere l’anno 1850 per diventare di moda e sostituire nella popolarità la Tumba. A partire da quel momento il merengue ebbe molti seguaci. Agli inizi della decadenza della Tumba nel 1850, nella capitale dominicana iniziò una propaganda stampa in difesa di questo ballo e contro il merengue che lo stava sostituendo. Don Emilio Rodriguez Demorizi disse: ” Le origini del merengue sono oscure. Non sembra che possano essere di provenienza haitiana”. Se avesse avuto questa oscura provenienza non avrebbe avuto la fama ottenuta nel 1855, epoca in cui le lotte contro Haiti erano cruente; così come quelli che ripudiarono il merengue in quegli anni non avrebbero perso l’occasione di mettere questo aspetto in risalto. Nemmeno Ulises Francisco Espaillat nei suoi scritti contro il merengue del 1875 segnalò alcun elemento al riguardo. In realtà, poco si sa di concreto sulle origini del merengue. Alla metà del secolo scorso dal 1838 al 1849 un ballo chiamato urpa o upa Habanera, girava per i Caraibi arrivando a Porto Rico dove fu ben accolto. Questo ballo aveva un movimento chiamato merengue che, come sembra, è la forma che emerse per definire il ballo. Il Colonnello Alfonseca scrisse brani di merengue che divennero molto popolari come: “Ay, Cocol”, “El sancocho”, “El que no tiene dos pesos no baila”, “Huye Marcos Rojas que te coje la pelota”. La struttura musicale del merengue nella sua forma più rappresentativa, consisteva in paseo, cuerpo o merengue e jaleo. Si vuole erroneamente attribuire a Emilio Artè l’avere aggiunto il paseo al merengue così come esisteva alla sua epoca. Tutta la musica viene scritta in un ritmo di 2×4 ed esistono discrepanze in quanto al numero delle battute che devono costituire ogni parte, dal momento in cui spesso si abusava nell’allungarle all’infinito. Non succedeva così con la forma chiamata pambiche, che, secondo lalcuni, non era altro che il nome che riceveva il jaleo del merengue sprovvisto delle altri parti e adatto al passo lento dei marinai yanquis che occupavano il paese, ai quali era difficile adattare il ritmo più veloce del merengue. Fino dagli anni Trenta la Bachata, proposta come ballata popolare, raccontava storie romantiche di amori infelici, abbandoni, tristi situazioni sentimentali e di povertà. Proprio a causa dello sua estrazione campesina, la bachata non ebbe successo tra le classi borghesi, anzi veniva da queste considerata volgare ed indecente, così come avveniva per il merengue, a causa delle sue allusioni sessuali. Di conseguenza, la bachata rimase a lungo relegata nell’ambito delle feste di paese o in locali considerati malfamati. Come il Tango in Argentina, la Bachata fioriva nei luoghi considerati equivoci, come los quilombos (bordelli) dove las mujeres de rumbo (prostitute) facevano da soggetto di storie sentimentali e violente, tenuta rigorosamente al bando dalla classe borghese
benpensante. Fu grazie all’emittente dominicana Radio Guarachita, la quale, nel tentativo di valorizzare le tradizioni popolari dominicane, trasmise per un certo periodo delle bachatas di estrazione campesina, attirando l’attenzione del pubblico e di cantanti come: Luis Segurra, Anthony Santos, Raulin Rodriguez. Juan Luis Guerra, fondendo la tradizione popolare con le moderne tendenze, portò questo genere al successo internazionale con il brano “Bachata Rosa”.
La figura del Maestro di Ballo è fondamentale, non solo sul profilo dell’insegnamento, ma anche sotto l’aspetto umano. Migliorare la competenza didattica e professionale, tenendo sempre presente l’aspetto della comunicazione interpersonale tra se e gli allievi. Un Maestro di Ballo ha l’obbligo di continuare gli aggiornamenti disciplinari, mettersi a confronto con i colleghi e non sentirsi mai arrivato alla meta. Deve dare il massimo di se stesso agli allievi e saper gestire il tempo a disposizione per raggiungere gli obbiettivi didattici prefissati. Passione e determinazione portano al successo, non facile in questo campo. Deve approfondire gli aspetti di carattere storico e musicale delle danze che insegna, non basta sapere alla perfezione i passi dei vari balli, deve conoscere la loro nascita, evoluzione e aspetti ritmici e melodici. Per avere successo il Maestro di Ballo lo deve volere profondamente, adottando metodi, anche se competitivi, ma leali e corretti. L’esito positivo dell’esame di Maestro non è l’arrivo alla professionalità, ma il punto di partenza di un strada ardua e difficile. Dal momento del conseguimento del diploma si dovranno mettere in pratica tutte le nozioni teoriche e pratiche e tradurle in azioni quotidiane. Un bravo Maestro organizza la sua giornata in modo razionale: usa l’agenda per poter gestire appuntamenti, scadenze, eventi, lezioni, stage. Una cattiva gestione del tempo lo porterà al fallimento. La sua professionalità dovrà sapere coinvolgere tutti gli allievi, dovrà adeguarsi alle caratteristiche fisico – psichiche degli allievi, in modo particolare nei corsi collettivi. Ogni esercizio va spiegato con lo scopo di far capire i vantaggi tecnici ed o ogni spiegazione teorica dovrà corrispondere uno dimostrazione pratica. Un bravo Maestro dovrà motivare gli allievi: egli comunica parlando, usando gesti e sguardi, mettendo a proprio agio gli allievi, spiegando, dimostrando, facendo mettere in pratica le spiegazioni. Far capire e scoprire i movimenti ed il peso corporeo, spiegando l’importanza di una buona respirazione, che garantisce l’apporto di ossigeno e maggior relax, quindi meno stress. Un bravo Maestro cerca di essere autorevole e non autoritario, crea unione tra i componenti di un corso e mette nel suo lavoro una parte di umorismo che aiuta a smitizzare le difficoltà ed i complessi degli allievi, oltre che comunicare e trasmettere allegria. Un bravo Maestro da consigli giusti e trasmette amore e passione per la danza. Il suo intento non e quello di clonare se stesso nei suoi allievi, ma di metterli in condizione di scoprire ed esprimere la loro personalità nel ballo. Un bravo Maestro non smetterà mai di studiare e fare ricerca nei diversi stili di ballo e nelle tecniche d’insegnamento. La chiave del successo è l’aggiornamento e lo studio delle metodologie. Qualità didattica, motivazione e passione, conoscenza e competenza tecnica, didattica e culturale, lo porteranno ad essere competitivo nella sua professionalità.
E’ importante conoscere alcune fondamentali nozioni musicali per poter meglio interpretare la musica sulla quale balliamo:
E’ formata do una successione di suoni che differiscono in quanto alla loro durata, alla loro altezza ed alla loro intensità. Essa implica la nozione di durata e perciò va subordinata al ritmo; attinge la sua naturale origine dalle inflessioni della parola,
dalle esclamazioni, dai gridi dell’uomo o degli animali, tutti elementi che esprimono la vita e i sentimenti.
II susseguirsi regolare e costante nel tempo di eventi sonori. La sua definizione determina che tipo di composizione di musica leggera, in cui la cadenza ritmica prevalga sulla melodia, stiamo ascoltando. Ad esempio un Merengue, un Walzer, un Cha Cha Cha, eco..
Si intende la somma dei valori musicali contenuti fra due stanghette verticali nel pentagramma: questa somma si sviluppa in base al tempo stabilito.
E’ l’elemento unitario della battuta e viene identificato con ¼, che poi può essere frazionato in ottavi, sedicesimi, ecc., o moltiplicato.
1)Esprime la velocità di un brano; se ascoltiamo un brano contando quante battute ci sono in un minuto, determiniamo la sua velocità espressa in BPM (Beats Per Minute = Battute al Minuto).
2) Determina la divisione delle battute in tanti movimenti musicali uguali. Ad esempio il camminare dell’uomo (o meglio la regolare marcia militare) è caratterizzato da due movimenti uguali che si ripetono in cicli regolari, cioè in battute da 2/4. Potremo inoltre dire che sui quarti maggiormente accentati (movimenti forti) avremo il “battere” mentre sui restanti (movimenti deboli) avremo il “levare Una battuta in 2/4 contiene due battiti da 1/4(es. merengue). Una battuta in ¾ contiene tré battiti da ¼ (es. Walzer). Nella maggior parte dei casi (Salsa, Disco, Pop, Rock e altri generi contemporanei) la musica è scritta in 4/4.
II concetto di frase musicale è duplice e molto significativo per ballerini e coreografi:
II primo riguarda quel gruppo di 8, 16 o 32 battute, chiamato anche periodo, durante il quale si dovrà tener conto di amalgamare le figure del ballo in modo logico, come fosse una frase o periodo scritto o parlato. Cambiando periodo si potrà’, ad esempio, dopo 8 battute, staccare la coppia o entrare in uno serie di figure di tipo diverso, cambiare direzione, ecc., come per sottolineare e quindi meglio interpretare il cambio appunto della frase musicale.
Il secondo è il concetto di frase elementare da 8, cioè quella composta normalmente da una battuta dispari e da quella pari immediatamente successiva, in un brano suonato m 4/4, o da 4 battute di 2/4. Contare in 8 ci aiuta dunque ad individuare il momento migliore per iniziare a ballare e continuare ad eseguire tutte le figure appunto in frase e non solo a tempo.
Due “pezzi di legno” alla base di tutto Alla base di tutto c’è la clave, magico, intrigante, misterioso ritmo scandito dalle claves. Eh, si: due semplici “pezzi di legno”, quasi ad evidenziare, se ce ne fosse bisogno, le origini povere e popolari del son e dei suoi discendenti. Forse, le prime claves sono state quelle barrette cilindriche che servivano ai marinai per sistemare e bloccare le sartie (vi ricordate i film sui corsari?) e che, nei momenti di svago, venivano probabilmente usate per battere il tempo delle melodie popolari. I due bastoncini, di un legno alquanto duro (spesso di guayacan), hanno una forma cilindrica; uno dei
due può essere leggermente maggiore in dimensioni ed essere scavato all’interno in modo da conferire maggiore volume al suono. La clave, dunque, è battuta da questi pezzetti di legno e detta il ritmo di tutti i balli afro-cubani, dal son alla salsa, dal mambo alla rumba: ognuno con una sua clave caratteristica. Dove però la clave riveste un’importanza particolarissima è nel son e, di conseguenza, nella salsa.Tanto è vero che “sin clave no hay son”, come recita un famosissimo ed diffusissimo detto popolare e che tutti gli artisti e musicisti, soneros o salseros, non perdono occasione per sottolineare tale rilevanza, sia nelle varie interviste che nelle letras delle loro interpretazioni. L’immensa Celia Cruz, per esempio, ha voluto inserire un brano intitolato proprio “sin clave no hay son” in una delle sue ultime produzioni: quasi una raccomandazione in un ideale testamento. Da dove deriva tutta questa importanza della clave? Molto concisamente: il suo ritmo dona alle melodie il caratteristico savor, cioè quel gusto, quel sapore, appunto, tipico del son ed è essenziale per trasferire questo savor alle movenze di chi balla. Eccoci dunque arrivati al punto che qui maggiormente ci interessa: chi balla salsa o son non può prescindere dalla clave, se vuole che il suo stile sia sensuale, elegante e sabroso. Il bailador deve seguire la clave, adattarsi ad essa, farsi ammaliare dalla sua magia e, quando non sia scandita esplicitamente ma solo sottintesa, deve intuirla e muovere i suoi passi in accordo con essa.
Musicalmente, la clave di son e quella di salsa si sviluppano in due battute, speculari e alternate, di 4/4 (a volte di 2/4, come nella figura): in una, le claves battono tre colpi, nell’altra due. Nella battuta a tre colpi, il primo di questi viene dato sul primo battito, il secondo colpo tra il secondo ed il terzo battito, il terzo colpo sul quarto battito. Nella seguente (o precedente) battuta a due colpi, il primo colpo viene dato sul secondo battito ed il secondo colpo sul terzo battito. Quindi tra i colpi della battuta a tre l’intervallo è più lungo che tra i colpi della battuta due. Superfluo dire che l’ascolto della musica, prestando particolare attenzione alla ritmica e, almeno per le prime volte, sforzandosi di individuare la clave tra le percussioni, è assolutamente necessario per sviluppare la sensibilità che ci permetterà di percepire la clave, anche quando essa non sia chiaramente espressa dallo strumento, e la si debba intuire “tre le righe” delle altre percussioni, cioè della conga, il bongo, i timbales, ecc…, le quali, tutte, pur seguendo una loro specifica linea, si basano su di essa ed è quindi facile ad un orecchio esercitato dedurre la clave sottointesa.
Tutti i musicisti, mentre suonano la Salsa, pensano, interpretano ed improvvisano in funzione della clave. Alcuni esempi possono essere la “cascara” (figura ritmica suonata con la bacchetta sul fusto dei timbales) o il ritmo della campana, che, eseguite in certi punti del brano, fanno ben capire la direzione della clave e, comunque, tutta la ritmica e la melodia del brano fanno intuire la clave. In ogni modo, tutta la sezione ritmica (congas, bongoes, timbales, ma anche guïro e maracas, ecc.) si conformano al magico, misterioso, intrigante susseguirsi di due colpi/tre colpi della clave. Esistono alcune variazioni della clave che prendono il nome dal ritmo per cui vengono suonate. C’è, per esempio, una clave di rumba cubana che fa ritardare di ½ battito il 3° colpo della battuta a tre colpi ed una chiave brasiliana che fa ritardare di ½ battito il 2° colpo della battuta a due. Entrambe queste variazioni si possono sentire in alcuni frangenti dei brani, o in un intero brano di salsa. Anche il ballerino deve tener presente la grandissima importanza che ha la clave nella salsa e deve saperla interpretare. Deve cioè “ballare in clave”: balla dunque “in clave” chiunque si ispiri e si
adegui al ritmo della clave mentre balla. Per altri, invece, ballare in clave significa semplicemente scegliere di iniziare la sequenza di passi sul primo o sul quinto battito (ballare sull’uno) oppure sul secondo o il sesto (ballare sul 2). Vediamo ora come i passi del ballerino si debbano adeguare alla clave. Ed a questo punto ci imbattiamo in una domanda: si deve ballare sull’uno o sul due? Per evitare confusioni, stabiliamo, prima, cosa voglia dire ballare sull’uno o sul due. Quasi senza tema di essere contraddetti, si può affermare che muovere il primo passo (uno – sinistro per l’uomo, destro per la donna) sul primo battito della battuta a tre colpi (di clave) significa ballare sull’uno, mentre muovere il primo passo sul secondo battito della battuta a due colpi (di clave) ci fa ballare sul due. Stabilito ciò, possiamo dire, quasi altrettanto tranquillamente, che il son e la salsa portoricana vanno ballati sul due, mentre la salsa cubana deve essere ballata sull’uno.
Per concludere, considerando la clave e la sua distribuzione in due battute successive, avremo la possibilità di ballare in sei diversi modi, all’interno di una frase musicale elementare, cioè 2 battute e 8 battiti (4 battiti per battuta). Tenendo conto dello schema dei passi di una Base Alternata, il cavaliere potrà eseguirli iniziando a ballare il primo passo sul primo battito di una battuta, in questi due modi : 1) 5,6,7, – 1,2,3,- (sull’1 indietro) 2) 1,2,3, – 5,6,7,- (sull’1 avanti) Oppure li eseguirà ballando il primo passo sul secondo battito di una battuta, in questi quattro modi: 3) 6,7,8, – 2,3,4,- (sul 2 indietro) 4) 2,3,4, – 6,7,8,- (sul 2 avanti) 5) 6,7, -,1,2,3, -,5 (“break on 2” indietro) 6) 1,2, -,5,6,7, -,1 (“break on 2” avanti) Nel primo caso balleremo sulla melodia, ma solo con riferimento alla battuta, mentre nel secondo balleremo anche, con riferimento alla frase da otto battiti. Nel terzo e nel quinto caso, balleremo interpretando le cellule ritmiche musicali, tipiche dei vari strumenti. Nel quarto e nel sesto faremo anche riferimento alla frase da otto. Nel rispetto di quanto detto sopra, rientrano quindi anche le possibilità di ballare “en clave”, sia